Il re è in gabbia


Di Roby Noris


 

Nel 1973 disegnavo, senza computer, con matite, colori, inchiostro di china e penna, all’università a Parigi alcune tavole 50x65 per uno studio grafico sulla condizione di emarginazione dell’anziano. In clima post-sessantottino chissà quali fantasie avrò fatto pensando alle lotte per umanizzare la condizione dell’anziano in una società sempre più centrata sul profitto; non immaginavo certo di riprendere, 28 anni dopo, uno di quei disegni, elaborandolo elettronicamente per la copertine/copertina di questa rivista. Non immaginavo sicuramente che invece dei cartoni animati per i bambini, professionalmente mi sarei occupato di problemi sociali e di informazione, soprattutto televisiva, con Caritas Insieme. Non immaginavo che nel trentennio successivo la situazione sociale in genere, non solo quella degli anziani, sarebbe migliorata secondo i parametri del “bisogno”. Ma non immaginavo, o almeno non lo ricordo, che avremmo chiuso il millennio sempre più sprofondando, sul fronte culturale e antropologico, scardinando il vecchio ordine dei valori persino a livello legislativo, dove voci come “vita” o “dignità umana” non potevano in modo pacchiano diventare pedine da spostare in funzione del pensiero dominante.

Ed ecco che in apertura del terzo millennio, - per quel che vale un calendario! - la vecchia Europa, culla della cultura cristiana, si ritrova con l’eutanasia che è ormai cosa fatta, le manipolazioni genetiche alle porte, per non parlare dell’aborto, con il modello di famiglia eterosessuale ridotto solo a  “una” delle possibilità, con la droga che se non si riesce a debellare si liberalizza, e infine con l’AIDS che si risolve coi preservativi da mettere anche sulla testa per non pensare: il tutto sempre all’insegna del buon senso e della ragionevolezza, secondo la legge del minor male a corto termine.

Così troviamo sempre più risposte ai diversi bisogni quotidiani dimenticando il bisogno fondamentale di ogni persona, quello del senso della vita. La risposta al quesito esistenziale è sempre più lontana, perché non si sa più come formulare neppure la domanda. Non si può lottare per la verità se non si sa più quale sia.

L’uomo della copertine/copertina è nudo in un ambiente asettico senza dimensioni e può solo guardare attraverso il pavimento trasparente il suo passato, gli affetti, le relazioni umane, la vita insomma. Non vi è più possibilità di legame con gli altri perché la gabbia, anche se ci fa sentire sovrani assoluti del nostro regno piatto, anche se sconfinata, rimane sempre una gabbia.

Eppure si direbbe che, mai come in questa era della comunicazione, dovrebbe essere facile comunicare e incontrare gli altri, scopertine/coprendo che ne abbiamo bisogno. Ma fra relazioni virtuali, planetarie e difficoltà di incontrare chi abita in faccia, la cultura di morte - di cui parliamo nel dossier eutanasia nelle prossime pagine – trova sempre meno opposizioni.

Un giovedì del terzo millennio, cercavo una soluzione a un problema tecnico del nostro sistema di montaggio video digitale “Silver della Fast” che usiamo per montare le trasmissioni televisive di Caritas Insieme, e comunicavo in rete (internet)  in un “news group” (forum di discussione virtuale). Curiosando fra i diversi guai tecnici che anche altri in Australia o in America avevano, trovo casualmente la segnalazione dell’esistenza di un corso tecnico (tutorial) sul nostro sistema Silver, registrato su DVD, realizzato in un angolo degli States; dopo alcuni scambi di mail, e grande disponibilità da parte di diversi navigatori del Web, riesco a ordinarne una copertine/copia (gratis, solo spese postali a carico). Sabato mattina della stessa settimana alle 8 e un quarto siamo svegliati dalla postina del nostro villaggio che a gran voce chiama “Daniela” al piano di sotto all’entrata di casa (non abbiamo campanello) e, consegnando a mia moglie il pacco col DVD americano, si scusa per averci svegliato: “sono passata anche prima ma era tutto spento, ora però ho pensato che il pacco era un espresso…”. Dal villaggio globale dove comunichi con ogni angolo del mondo trovando le cose più incredibili, fino al villaggio di 500 abitanti dove sono possibili anche piccole attenzioni fra le persone. Sono segni che attestano, al di la della coscienza che se ne può avere, che l’esistenza dell’altro non è estranea alla propria vita. In un villaggio, anche se molti degli abitanti non si conoscono, i meccanismi della comunicazione interpersonale sono legati al retaggio di una tradizione rurale, tradizionale e sono meglio decodificabili: la comunicazione sul tempo che fa, “oggi è bello o fa freddo, speriamo che non piova ecc.”, non ha nulla a che vedere con un comunicato di natura meteorologica ma attesta il reciproco interesse per l’esistenza dell’altro.

Insomma forse avremmo per le mani qualche strumento per evitare che la copertine/copertina apocalittica di questa rivista diventi la descrizione realistica della nostra situazione. Ma c’è chi garantisce che solo con l’aiuto di un Altro questo sia possibile.